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Parkinson&Sport

35 anni fa a Bardolino del Garda il primo Triathlon Olimpico italiano. Sabato, con il pettorale 1001, per la seconda volta ci sarò anch’io.

Sabato alle 12.30 al via 2.000 triatleti nella gara italiana più prestigiosa e affermata anche a livello mondiale. Noi ci saremo, con il gazebo Parkinson&Triathlon e i nostri nuovi partner.

 

Ideata e fondata da Camillo Cametti, la gara si disputa dal 2 settembre 1984 sulla distanza di 51,5 chilometri, poi diventata olimpica.

E’ stato scritto che Bardolino sta al triathlon come la Milano-Sanremo al ciclismo o Wimbledon al tennis. Il Triathlon di Bardolino è una classica per chi nuota-pedala-corre, ormai un pezzo di storia importante dello sport italiano.

La prima edizione si svolse 34 anni fa, il 2 settembre 1984. Fu, in assoluto, la prima gara italiana di triathlon. Vi presero parte 69 pionieri. Fra essi, coraggiosamente, anche alcuni personaggi importanti del nuoto: Alberto Castagnetti (nelle foto sotto in bici e di corsa il 2 settembre 1984), Marcello Guarducci e Marco Colombo. Vi parteciparono in allegria, con spirito sportivo e goliardico al tempo stesso. Nonostante la mancanza di allenamento specifico tutti e tre strinsero i denti e arrivarono al traguardo, stravolti ma felici di poter dire “io c’ero, io ce l’ho fatta”.

Sentiamo il racconto di Cametti.

 

‘La gara nacque in seguito a una mia ispirazione e, grazie a una mia idea, fu da subito disputata sulla distanza di 51,5 chilometri: 1,5 a nuoto, 40 in bici e 10 di corsa.

A quell’epoca le gare che si svolgevano negli Stati Uniti e in altre parti del mondo, ed anche quelle sorte in Italia dopo Bardolino, sceglievano rapporti differenti fra le distanze delle tre discipline.

Si sosteneva che, rispetto a quelle scelte da me, il nuoto doveva essere più corto (1 chilometro) mentre il ciclismo e la corsa avrebbero dovuto essere più lunghi (rispettivamente 50-60 e 12-15 chilometri).

Il tempo mi dette ragione poiché la distanza di 51,5 chilometri fu quella prescelta quando la disciplina divenne olimpica, ai Giochi della XXVII Olimpiade di Sydney, nel 2000.

 

La mia scelta fu dettata da un ragionamento semplice: mettere in sequenza la distanza più lunga del nuoto in piscina, la lunghezza standard dei test a cronometro nel ciclismo e la distanza più lunga delle gare di corsa sulla pista dell’atletica leggera.

Inoltre, ho sempre ritenuto che la durata di una gara sportiva non dovesse eccedere le due ore (almeno per i migliori) e che lronman – 3,8km a nuoto, 180 in bicicletta e l’intera maratona di corsa – non fosse cosa per tutti ma soltanto per professionisti.

 

Eppure fu proprio la visione di un video dell’Ironman a ispirarmi. Era il 1983. Sul volo da New York a Los Angeles (dove mi stavo dirigendo per realizzare dei reportage – anche per La Gazzetta dello Sport – sulla città un anno prima delle Olimpiadi) proiettarono un video sull’Ironman delle Hawaii (prima edizione nel 1978). Ne fui stregato.

 

Incominciai a vedermi nelle vesti di triatleta, ricordando che da ragazzo andavo da Verona al Lago di Garda in bici da corsa e poi mi tuffavo per nuotarci dentro. La corsa a piedi?

Avevo dei precedenti con le campestri disputate da studente. E poi, con Alberto Castagnetti, per tre anni consecutivi prendemmo parte alla Traversata del Po, organizzata dal CSI a Guastalla, una specie di duathlon: s’iniziava con la corsa, a piedi scalzi, sull’argine sinistro del Po; poi ci si tuffava per nuotare (in favore di corrente) per un paio di chilometri; approdati sull’argine destro, si salivano otto decine di gradini e, infine, si faceva lo sprint finale sulla terra battuta. Il traguardo doveva essere tagliato toccando con una mano una corda posta a circa due metri di altezza (nella foto sotto Castagnetti e Cametti all’epoca della Traversata del Po).

 

Al ritorno da Los Angeles cominciai a pensare come poter organizzare una gara di triathlon. Fondai l’Associazione Triathlon Italia – con mio fratello Silvio e altri -, ne ideai il logo, tuttora in auge (nella foto di copertina), scelsi le distanze. E via. Rimasi a capo dell’organizzazione per i primi dieci anni, poi passai il testimone a Dante Armanini, da subito il principale, indispensabile collaboratore. In quell’epoca eroica – vero volontariato, soldi se ne mettevano – oltre che da Armanini, ero affiancato dall’allora assessore allo sport Francesco Marchiori, e da tanti altri bardolinesi.

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