Spilu, l’uccellino che visse 3 volte.
Oggi vi racconto una storia diversa, ne’ sport, ne’ malattia di Parkinson.
Una bella storia che parla di resilienza e rinascita, del nostro rapporto con la natura, del nostro bisogno di prenderci cura e di quanto questo può farci stare bene.
Non siamo soli, ci sono tante creature che ci insegnano che per cantare felici, bisogna lottare ogni giorno, e sono qui, vicino a noi.
Questa è la storia di Spilu, un piccolo di merlo, che Zorro, il cagnolino che da un mese circa era entrato a far parte della famiglia, ha trovato una mattina di giugno in giardino.
Una storia che ha commosso molte persone, noi, gli amici, la rete.
E che non dimenticheremo.
Perché Spilu è il simbolo del nostro indomabile desiderio di libertà e di vita.
Zorro e il nuovo gioco
Quella mattina, Zorro insisteva sotto una siepe girando e abbaiando, aveva trovato un nuovo gioco, ma stavolta non era un inanimato pupazzo di peluche, ma un essere vivente che lui scopriva per la prima volta, era un uccellino ed era terrorizzato.
Spilu era appena caduto dal nido, come primo impatto con il mondo, si trovava di fronte un essere nero e peloso, grande 10 volte lui, che invece di emettere dei suoni piacevoli, rassicuranti e imboccarlo, gli mostrava i denti abbaiando, mentre con la zampa tentava di colpirlo.
Salvo! la prima volta
L’abbiamo raccolto salvandogli la vita.
Ora che si fa? Dove sarà il suo nido? Ci siamo domandati io e Carolina, mia moglie.
Dove potremmo metterlo per proteggerlo da Zorro e permettere alla mamma di ritrovarlo, nella speranza che possa riportarlo nel nido e nutrirlo?
Il sorriso di Amazon prima della tempesta
Serviva una scatola, da lasciare in giardino, in un posto inaccessibile alla vivacità di Zorro,con bordi alti,Spilu spiccava piccoli voli tali da saltare fuori da una scatola per scarpe.
Il primo giorno era passato cosi, in uno scatolone con il simbolo di Amazon, con noi che provavamo a dargli dell’acqua e qualcosa da mangiare, senza successo.
Nella notte un forte temporale aveva colpito il giardino e il rifugio di Spilu.
La mattina al risveglio lo avevo trovato morto. Immobile, rigido e ancora tutto bagnato, ma prendendolo in mano avevo sentito un fremito nel suo corpicino spelacchiato, era ancora vivo e si poteva salvare.
Salvo! la seconda volta
Sono corso in casa per scaldarlo col phon, poco alla volta ha cominciato a muoversi e ad emettere un richiamo struggente, aveva fame sete e bisogno della sua mamma, ma era vivo. Per la seconda volta in 2 giorni la sua voglia di vivere, unita alla nostra di aiutarlo lo avevano salvato.
Lo scatolone era la scelta giusta ma doveva essere al riparo dalle intemperie, mentre pensavamo come fare, abbiamo cercato su internet delle istruzioni per sfamarlo e poco alla volta abbiamo imparato a dargli acqua e poco cibo, prosciutto cotto.
Ma serviva un posto e tanto amore.
Mio fratello Gil lo ha preso in custodia, gli ha voluto bene e ha cercato di restituirgli la sua vita. Da qui in poi il racconto è il suo.
Spilu, il più bell’uccellino del mondo
Si chiamava Spilucchio, e non era un bell’uccellino. Un po’ spiumato, testolina pelata. Gli occhi sporgenti, una zampetta danneggiata, la coda sghemba.
Ma non è passato giorno, da quell’11 di giugno, in cui non gli abbia sussurrato, tenendolo sulla mano e dandogli dei piccoli baci sulle penne, ciao uccellino, sei bellissimo, sei il più bell’uccellino del mondo.
Un povero uccellino caduto dal nido, solo al mondo, senza una mamma venuta a riprenderselo ha bisogno di tanto amore per sopravvivere. Lui ha avuto il mio.
Caduto dal nido
‘Gil, vieni a vedere’. Mi chiama mio fratello Stefano, io scendo e dentro una scatola di cartone c’è un batuffolo grigio con il becco aperto puntato verso di noi. ‘L’ho trovato in giardino due giorni fa, l’ho lasciato lì, ma nessuna mamma si è fatta viva. Lo vuoi prendere tu?’
‘Che uccellino è?’ ‘Non lo so’.
Io non sono uno di animali, ma l’ho preso subito. Quell’esserino spiumato che pigolava e voleva essere imboccato mi è entrato dritto nel cuore.
In scatola
L’ho messo sul terrazzo, in una scatola un po’ più grande. Dandogli da mangiare quello che avevo, briciole, chi lo sa. Arrivavo sopra il suo becco, lui apriva e cinguettava, tremando. Mangiava, e poi ne voleva ancora. Con una spugna gli davo l’acqua.
Andavo a vederlo ogni dieci minuti. Gli dicevo Ciao uccellino. Sei bellissimo. Tieni duro.
Sal
Dopo due giorni sono andato al consorzio. ‘Ho un uccellino, non so come fare, non so cosa dargli da mangiare, non so dove metterlo’. Hanno chiamato al telefono Sal. Dalla sua voce si capiva un amore sconfinato per gli uccellini.
Mi ha chiesto una foto. ‘Sembrerebbe un piccolo di merlo. Se la mamma non è tornata, devi farlo crescere. Mettilo in una gabbietta, ricordati di dargli da bere e mangiare ogni mezz’ora, prendi il mangime allbirds. Più avanti vediamo come fare’.
Sono tornato a casa in moto con la gabbia fra le gambe, un sacco di mangime e un sorriso. Quando sono arrivato al cancello, lo sentivo già chiamare per il cibo.
Convivenza
Da lì è cominciata la convivenza. I suoi fischi acuti al mattino, appena arrivava la luce. Il suo becco sempre aperto in attesa del cibo. Ho cominciato a chiamarlo Merlino, Woody, Pinguinetto. A farlo uscire un po’ dalla gabbia per saltellare in casa. A sussurrargli sei bello sei bellissimo sei il più bell’uccellino del mondo. A lui piaceva e mi rispondeva beccandomi piano.
Sei un puzzone
Tutte queste smancerie erano poi invariabilmente interrotte da un urlo: cagoneee!!!!.
Il vero difetto degli uccellini è questo, continuo e incontrollabile. Anzi, secondo me un po’ fanno apposta. La fanno dappertutto, continuamente. Quando era in giro, lo dovevo inseguire con la carta igienica e la spugna.
Nella gabbia era un disastro, pulizie ogni mattina e ogni sera. Ma lui ci camminava dentro. Sei un puzzone, uccellino. Devi ammetterlo.
Quindi, ogni tanto, bisognava fargli il bagnetto. La prima volta non ne voleva sapere. Poi, è stato un cinema. Girava intorno alla vaschetta, ci saliva sopra, e poi il tuffo. Frullare di ali, acqua dappertutto, cinguettii felici.
Asciugarlo col phon era una delle cose che adorava. Si metteva lì, in posa, testa in su, occhi semichiusi, in estasi. Dopo era davvero un uccellino bellissimo. Lo annusavo, era profumato di buono.
Mangiare da solo
Sal, gli chiedevo mandando delle foto, ma è maschio è femmina? I maschi sono neri col becco giallo, le femmine marroni col becco grigio. Lui era a metà. ‘Secondo me è un maschio’. E perché è così spiumato? Perché deve fare la prima muta. E adesso cosa devo fare? Aspettare che impari a mangiare da solo.
Esperimenti quotidiani: fingo di dargli il mangime, e lo metto in terra. Lo guarda, poi alza il becco e mi guarda incazzato. Va avanti così per settimane. Finché un giorno, si mette lì, guarda bene il semino, gli gira intorno, e poi lo becca.
Mi guarda soddisfatto. Un altro?
Notti magiche
Da lì inizia un altro capitolo. Gli do il suo mangime, poi provo con foglie di insalata, pezzettini di mela, mandorle. Lui mangia tutto cinguettando. Non devo andare lì ogni mezzora. E’ un piccolo uccellino che sta diventando grande.
Sta sul terrazzo, guarda tutto, canta sempre. La sera lo libero in casa, saltella e becca per terra. Poi lo prendo, me lo metto sulla pancia, e guardiamo la televisione.
Lui gira un po’, mi sale sulla spalla e sta lì. Ogni tanto mi becca un orecchio. Se mi giro verso di lui, mi becca sulle labbra. Secondo me, è un piccolo bacio.
Gli europei di calcio e le olimpiadi le abbiamo visti insieme.
Cras o no?
Il progetto è quello di liberarlo. I selvatici non si possono tenere, per legge. Se si trovano fuori dal nido, prima vanno lasciati lì, in attesa che venga la mamma. Se non viene, bisogna portarli a un CRAS, Centro Recupero Animali Selvatici.
Cosa che ho tentato di fare. Ma è lontano: in alta Valcamonica. E quando ho chiamato, quest’estate, erano molto impegnati, stavano accogliendo animali più importanti del piccolo Spilu.
Con Sal abbiamo deciso una strategia. Crescerlo finchè impara bene a volare. Mettere un anellino rosso su una zampetta, per riconoscerlo. Mettergli da mangiare e da bere di fuori. E, un bel giorno, aprire la finestra.
Il canto
La mattina fischia. Quando mangia, cinguetta che quasi si ingozza. Sul terrazzo alterna diversi canti, il più bello è un gorgheggio che tira fuori ogni tanto. Per me è quando è felice.
La sera abbassa il volume, appena fa un po’ scuro. Mentre sta sulla mia spalla e pian piano chiude gli occhi, fa un tu-tu appena percettibile, per allenare le note basse.
Tutto questo periodo meraviglioso è stato il suo apprendistato alla vita di uccellino.
Smart bird
Di giorno faccio smart working con lui. Mi tiene compagnia nelle riunioni su teams. Ma non sta fermo. Corre sul tavolo, mi attraversa la tastiera cento volte saltellando sui tasti, becca il mouse. Lo rovescia perché gli piace la luce rossa, tira i cavi, sposta le penne e butta in giro i fogli.
Quando sente qualcuno che parla si gira verso lo schermo e lo becca. Tutti quanti vogliono lo vogliono vedere. Lo prendo per metterlo davanti alla videocamera. Si fa guardare un secondo poi salta via. Prima però me la fa sulla mano. Uccellino snob.
Beatles
In questo periodo sto studiando un pezzo dei Beatles, Blackbird. Guarda caso vuol dire merlo. Quando suono lui sta li, fermo, come ipnotizzato. A volte sale sulla tastiera e zampetta in mezzo alle dita.
Il testo dice: “Blackbird singing in the dead of night, take these broken wings and learn to fly“. Merlo che canti nel buio, anche se hai le ali spezzate, impara a volare.
Lezione di canto
Lui cresce, pian piano. Nero con strane piume bianche qua e là, e con delle piccole ali che ogni tanto fa frullare. Per vivere là fuori deve fare tre cose: procurarsi il cibo, trovarsi un rifugio, scappare dai pericoli. Il volo serve a tutti tre. Quindi, occorre volare.
Lo prendo, e cerco di lanciarlo in salotto. Non ne vuole sapere. Mi becca furiosamente la mano, stringe le zampette, quando decolla cade giù. Fa un metro e sbatte contro qualcosa. O fa inversione a U e mi viene addosso. Dopo di che si infila sotto il divano e non si fa prendere. Ho capito la scuola di volo sarà complicata.
Fuori da solo, salvo per la terza volta
A un certo punto ha cominciato a fare dei voletti, ho pensato che occorreva provare di fuori. C’è un grande giardino. Allora esco, apro delicatamente la gabbietta, lo prendo, lo metto sulla mano. Dopo due o tre voletti sghembi, appare un cane.
Lui lo sente, terrorizzato scappa via di corsa, lo rincorriamo ma si infila in una parte del giardino incolta, cespugli pieni di spine. E’ imprendibile. La sera torno lì, lo chiamo, niente. Passo una notte agitata. Mi metto sul balcone di vedetta.
E’ ancora troppo piccolo e indifeso per lasciarlo fuori. Ma sta fuori un altro giorno e un’altra notte. La mattina dopo, è nel mio giardino.
Salvo! Lo chiamo. Si fa prendere. Uccellino mio. Come ti hanno ridotto?
Spilucchio
Gli manca la coda, un po’ di penne, ed è terrorizzato. Forse per due notti non ha chiuso occhio. Il villaggio è pieno di gatti, pronti a saltare addosso al primo uccellino inesperto.
Ci vuole un bel po’ per riportarlo alla calma. Lo coccolo anche più di prima. Vedendolo un’amica gli ha dato il suo nome definitivo: Spilucchio.
Senza coda
Senza coda è proprio piccolo. Adesso te la rifacciamo crescere, vedrai come sarai bello. E infatti, pian piano le penne crescono. Riprende fiducia. E riprende a cantare, che è la cosa più bella. E poi, la scuola di volo. I voletti sbilenchi diventano più lunghi. Impara a decollare da terra, a curvare in volo, ad atterrare dolcemente.
E vuole salire sempre più in alto. Credo sia un istinto di difesa: più in alto sono, meno pericoli corrono. Ora lo rincorro con la scala.
10 milioni di anni
Quanto ci hanno messo a evolversi questi uccellini?
Sembra che gli uccelli moderni abbiano 10 milioni di anni. Ci sono centinaia di specie. Il merlo, che si chiama Turdus merula, è molto diffuso. E’ monogamo, vive in coppia, libero vive fino a tre anni. Ce ne sono nel mondo 500 milioni.
Uno di questi, vive – illegalmente – con me.
Su una zampa
Tutti quei milioni di anni di evoluzione gli hanno dato una grazia particolare. Per esempio, quando sei vicino e ti guarda, visto che ha gli occhi su lati opposti, piega la testa in giù e di lato. Sembra che ti dica: ecco, cosa vuoi adesso? E poi ti pianta una beccata.
Quando si posa sopra il monitor, sta lì, su una sola zampa – per disperdere meno calore – e si abbiocca. Poi si sveglia, gonfia le piume, per sembrare più grande. Si stira le ali, col becco pulisce le penne.
Quando beve, tira su un sorso, poi alza il collo, glu glu. Quando gli porto il rosso d’uovo, frulla le ali, corre e me lo strappa dalle dita. In casa ha imparato a entrare e uscire dalla gabbia.
Apre la porticina col becco. Poi, ci vola sopra, e sta lì. Per sfregio. Come Snoopy.
Una mattina di sole
Da qualche giorno non si faceva più prendere. Volava in salotto come un pazzo, volo acrobatico a un dito dalla mia testa, con bombe sganciate qua e là. Recuperarlo impossibile.
Ho fatto spedizioni di inseguimento sotto i tavoli, le gambe delle sedie, sugli scaffali della libreria, sopra le porte, sugli steli delle lampade. Spilucchio, non si può andare avanti così! Vuoi andare, vero?
La mattina del 26 ottobre, un martedì, c’era un bel sole. Un po’ tremando, ho aperto la finestra che dà su balcone. Ci ha messo un minuto a capire. E’ uscito, è salito sul bordo, mi ha guardato un’ultima volta, ed è volato via.
Giorni felici
E’ successa la cosa più bella che potevo immaginare. E’ tornato. Il pomeriggio stesso, a mangiare nella sua coppa, a bere sopra la sua casetta. L’ho visto insieme agli altri merli del villaggio. Anzi, una bella merla gli stava appiccicata.
Spilu non è un fotomodello, ma ha il suo fascino.
Che meraviglia. Entrava anche in casa, zampettando, e cercando i suoi soliti posti: il monitor, il leggio del pianoforte, la poltrona rossa. Andava e veniva. E si faceva anche prendere. Come a dire, vedi che hai fatto bene a fidarti, umano.
Interspecific bond
Ho visto una foto toccante, in questi giorni. Un gorilla che appoggia la testa sul petto del suo custode, poco prima di morire.
Fra gli esseri viventi si può sviluppare un legame fortissimo, di che va oltre la specie. E’ una cosa meravigliosa. Come se tutti gli esseri viventi condividessero un’unica, fondamentale emozione, l’amore.
Certo, mi viene un po’ difficile pensarlo per un ragno o una di quelle cimici che Spilu mangiava leccandosi i baffi. Ma il legame con lui è stato così bello, e intenso, da farmi male.
Un giorno di pioggia
Il primo novembre è stato un giorno orribile. Grigio quasi nero. Freddo, pioggia brutta e cattiva. Tutto il giorno. Lui non si è visto sul terrazzo. Sono venuti gli altri merli, i passeri, le tortore. Lui no. Spiluuu, dove sei Spiluuuu.
Sono andato sul terrazzo non so quante volte, fischiando, chiamando. Sono sceso a guardare tra i cespugli, nella siepe, sui soliti alberi dove lo vedevo. Niente. Dove sei piccolo Spilu. Dove sei.
Un giorno e una notte da solo sotto questa pioggia cattiva. La notte ho tenuto accesa la luce, tutte le sue cose lì ad aspettarlo.
Addio
Carolina mi ha detto poi, ieri sera l’ho visto, ma non volava. Camminava anche un po’ a fatica. Chissà cosa è successo. Forse la pioggia gli ha appesantito le ali, non ce l’ha più fatta a scappare, e i gatti, o le cornacchie, o chissà cosa, non aspettavano altro. Non ci devo pensare.
Ogni giorno l’ho cercato. Lo cerco ancora. Per fortuna, non l’ho trovato. I vicini di casa mi chiedono, i miei amici, i colleghi che lo vedevano in call. Ti hanno tutti voluto bene Spilu.
Scusami, se è colpa mia alla fine di quello che ti è successo. Non eri preparato per vivere là fuori, e questo non me lo perdono. Ogni tanto trovo una piuma in casa. La prendo, e le do un piccolo bacio.
Ho preso una sua foto, l’ho messa in una cornice ed è lì, sulla libreria.
Ci sono 500 milioni di merli, ma tu eri unico.
Per questi mesi, sei stato tanto amato.
Sei stato il piccolo, grandissimo Spilucchio.
Per sempre. L’uccellino più bello del mondo.